Passeggiate Metropolitane

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Naviglio Piccolo Martesana

Viaggio nella memoria

 

Partiamo per una passeggiata metropolitana, accompagnati dal lento fruscio dell'acqua del naviglio, attraversando i borghi del Naviglio Piccolo Martesana con la complicità di un po' di immaginazione, che è sempre una buona compagna di viaggio.

Lungo il Naviglio Martesana, chiamato "Piccolo" per distinguerlo dal Naviglio Grande a sud di Milano, troviamo gli "ameni contorni", così li chiamavano i giornalisti dell'epoca: il Bois de Boulogne (Greco Milanese), la Piccola Parigi (Gorla), la Riviera (Crescenzago).

Come le vene dell'uomo portano il sangue alla testa, diceva Leonardo, così i canali portavano acqua ai borghi pittoreschi del Naviglio Martesana, che usavano queste "vene d’acqua" per l’irrigazione, la navigazione e i commerci. Fino al primo dopoguerra erano i paesaggi rurali più prossimi alla città di Milano, quasi l'ultima resilienza di una ruralità che sembrava non volesse cedere il passo all'urbanizzazione.

Approfondimenti: Borghi milanesi del Naviglio Piccolo, Meravigli Edizioni

L'Itinerario

5,5 Km Totali

17 Punti di interesse

Partenza da Greco - Cassina de' Pomm (M3 Gialla - fermata Sondrio)

Arrivo a Crescenzago (M2 Verde - fermata Cresenzago)

Da percorrere a piedi (Alzaia pedonale) – In bicicletta (Pista ciclabile)

Duelli al primo sangue

Greco - Cassina de' Pomm

via Melchiorre Gioia 194

Partiamo da Cassina de' Pomm, una Cascina del Quattrocento, che ha mantenuto la sua fisionomia rurale. Nel 1700 diventa una stazione di sosta per il cambio dei cavalli sulla strada per Monza, ma sopratutto una rinomata Osteria, spesso teatro di duelli alle prime luci dell'alba. Da qui l'appellativo parigino, Bois de Boulogne, che richiama le dispute che si accendevano per motivi passionali e politici. Oggi nella vecchia cascina, oltre ad abitazioni private, c'è al piano terra il locale Buttiga Beer Room, che ha preso il posto delle storico Cafè Martesana.

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Il nome de’ Pomm sembra provenire dalla famiglia Pomi proprietaria del terreno, anche se molti ricollegano il nome di questa cascina alla presenza di frutteti di meli che l’attorniavano. Da cui “de’ Pomm”, “delle mele”, la “Cascina delle mele”.

All’interno della corte della locanda c’era un unico ballatoio al piano superiore su cui si affacciavano le camere che, all’occorrenza, ospitavano i clienti che avevano alzato troppo il gomito in osteria. Per la Cassina de’ Pomm passarono persone note come il seduttore Casanova, l’illuminista Beccaria, il viaggiatore Stendhal, l’imperatore Bonaparte, il generale Garibaldi e il poeta milanese Porta.

Il paesaggio attorno alla Cascina è cambiato, soprattutto dopo l’arrivo delle fabbriche, anche se qualcosa della lontana atmosfera parigina resta nell’aria. Originale il ponte in ferro sopra al naviglio, che serviva per il passaggio delle maestranze operaie della Fabbrica Società Anonima Branca A e C (in via Tirano  14-26), una fabbrica di sapone e di candele steariche, conosciuta come la fabbrica del Pan fiss; chiamata così perché assicurava la “giornata di lavoro” sicuro per chi ne aveva bisogno. Oggi al suo posto c’è il Giardino pubblico di Cassina de’ Pomm: dell’antica fabbrica demolita è rimasto solo il muro in mattoni che costeggia l’alzaia del naviglio.

Pitture in fuga a Parigi

Greco - Chiesa di San Martino

Piazza Greco 11

Risalendo il naviglio all'altezza del ponte di viale delle Rimembranze c'incamminiamo nell'antico borgo di Greco fino ad arrivare alla Chiesa di San Martino. La chiesetta in Piazza Greco, ricca di opere d'arte, è oggi uno dei simboli più identificativi dell'antico borgo, a memoria di quando Greco raggruppava solo poche case attorno alla chiesa e al vecchio Municipio in via Emilio de Marchi, tra Piazza Greco e le vie Bottelli e Portinari.

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La chiesa di San Martino è stata ricostruita sui ruderi di una cappella del XII secolo, tappa di pellegrinaggio sulla strada per la Chiesa di Santa Maria Rossa (Crescenzago). Ricostruita dalla famiglia Litta, che aveva edificato la sua villa sul lato dell’antico Oratorio di San Martino (in fondo alla navata sulla destra), l’antica chiesetta-oratorio ospitava l’affresco di Bernardino Luini La Natività e l’annuncio ai pastori (1520-25), una delle opere più delicate dell’artista, in cui la scena realistica della natività e il colore sfumato delle figure umane sono un tipico segno della scuola lombarda e del gruppo dei leonardeschi.

Purtroppo dell’affresco, oggi custodito al Museo del Louvre di Parigi, rimane in chiesa solo una copia realizzata nel 1990. Nel 1810 fu staccato dal muro e portato via dalla famiglia Litta che lo trasportò nel suo Palazzo in Corso Magenta. Successivamente prese la strada per Parigi, anche se resta immutabile la sua appartenenza alla storia di Greco.

All’interno della chiesa sono visibili alcune opere pittoriche, dovute alla presenza della famiglia Litta. Guardando l’altare sulla parete di destra, ad esempio, la Trinità adorata dal popolo di Federico Fiori, detto il Barocci (1528/35-1612), seguace di Raffaello, pittore manierista, nato a Urbino da una famiglia di origini lombarde. Sulla parete di sinistra la Visione Mistica di Santa Caterina Da Siena di Luigi Scaramuccia (1616-1680), pittore perugino allievo di Guido Reni. Sulla volta della navata centrale, una Madonna con Bambino appare su un trono di nuvole, opera del pittore manierista Bernardino Campi (1520-1591).

Sopra il portone d’ingresso della chiesa è raffigurato l’affresco di San Martino che dona il mantello ad un viandante, nella classica iconografia-simbolo della sua conversione (opera realizzata negli anni cinquanta sopra un affresco del 1925 del pittore Virgilio Cranchi).

Nuovi borghi possibili

Greco - Cascina Conti

Via Carlo Conti 18/20

Proprio dietro la Chiesa di San Martino troviamo un complesso di cascinali, in fase di ristrutturazione, che facevano parte del vecchio borgo di Cascina Conti. Oggi tutta l'area rientra nel progetto di rigenerazione urbana della Cooperativa ABCittà, BIG - Borgo Intergenerazionale Greco; e di MUBIG - Museo diffuso per la valorizzazione della memoria nel quartiere di Greco.

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La vecchia cascina, di origini quattrocentesche, era soprannominata la Cort de Pures, perché la famiglia proprietaria del terreno si chiamava Pulici. Per capirne la struttura tipica del cascinale, e averne una visione complessiva, ci affacciamo sull’aia interna da via Conti (sul retro di San Martino) oppure da via Rho, passando sotto le arcate ferroviarie di Greco. Negli edifici della vecchia Cascina Conti, che costeggiano via C. Conti, si riconosce la base di una torretta con resti in mattoni che, nella metà del Cinquecento, svolgeva la funzione di torre di avvistamento e di difesa, e i ballatoi in legno che appartenevano agli edifici più antichi del seicento-settecento.

Le arcate ferroviarie sullo sfondo creano un interessante contrasto. I due elementi architettonici, la cascina (la ruralità) e le arcate ferroviarie (l’urbanizzazione), sono i simboli di due tipologie di paesaggio differenti che insieme raccontano la storia dei borghi del Naviglio Piccolo. 

Barattoli di marmellata

Cimitero di Greco

Via Emilio de Marchi

Il Cimitero di Greco è incastonato nel paesaggio ferroviario e metropolitano. In origine il vecchio Cimitero di Greco (smantellato nel 1951) si trovava in viale delle Rimembranze, dove c’è il Naviglio Martesana, e i resti delle persone sepolte furono trasportati in quello nuovo quando venne costruito nel 1914. Sopra la croce bianca dell'ingresso monumentale si riconosce ancora l'antico stemma del Comune di Greco.

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Nella parte più antica del cimitero sono sepolti alpini, bersaglieri, fanti, marinai. Una lapide, nella cappella dei Caduti della Prima Guerra Mondiale (a destra dell’ingresso) ricorda i 271 caduti di Greco della Grande Guerra, le cui tombe sono andate distrutte.

L’ingresso al cimitero è uno dei più curiosi tra tutti i cimiteri di Milano. Ha una facciata in stile eclettico (un mix di motivi decorativi artistici in pietra, cotto, ferro) e una cancellata di ferro battuto in stile liberty, opera dello scultore lodigiano Alessandro Mazzucotelli, che aveva l’officina proprio in via Segnano a Greco. La parte centrale del cancello di ingresso ha un’iconografia funeraria davvero originale: da entrambi i lati di un vaso cinerario fuoriesce un ramo di vite a foglie stilizzate che sale verso l’alto disegnando delle piccole volute fino a trasformarsi in un fascio di gigli fioriti attorno a cui si raccolgono due gruppi di angeli melanconici. Il ramo di vite, sull’estrema sommità della cancellata, si trasforma in piccole fiammelle accese: simbolo della luce che spegne il buio della morte.

E’ impossibile non lasciarsi incuriosire, in prossimità della cappella dei Caduti, dalle semi-colonne senza base dalle forme solide che contengono ciascuna il volto di una testa femminile con occhi chiusi, che richiama le iconografie egiziane in ambito funerario (tipiche dello stile eclettico), e tre civette, così ben scolpite da sembrare vere. Uccello notturno, la civetta, animale-simbolo dell’iconografia funeraria, raffigura il potere della morte (e trasformazione della vita) e da sempre è associata alla dea Atena, dea della sapienza e della civiltà (altro riferimento a culture antiche non cristiane tipico dell’eclettismo).

Al cimitero di Greco, nel campo sotto la salita della strada (chiamata la “monta”), trovarono pace anche i 200 bambini morti insieme ai 19 adulti della scuola F. Crispi di Gorla, scomparsi sotto i bombardamenti aerei del 20 ottobre 1944. Le testimonianze di Gianni Banfi, lo storico di Greco, ci aiutano a fare un passo indietro e a tornare al giorno della strage e dei funerali dei Piccoli Martiri di Gorla. Di tutte le immagini che Gianni ricorda di quella giornata ce n’è ancora una impressa nella sua memoria: un grosso cavallo disteso per terra, in mezzo alla strada di viale Monza, con un carro attaccato vicino e, rovesciato per terra, un barattolo di marmellata. Quel giorno, stranamente, nessuno si avvicinava per portarsi via la marmellata. Il cavallo, il carro e il barattolo restano come un flash di una quotidianità interrotta dalle bombe. Dal 1952 i resti esumati dei Piccoli Martiri di Gorla si trovano nella Cripta del Monumento a loro dedicato, eretto nel luogo dove hanno vissuto gli ultimi istanti di vita.

 

Arcate e fabbriche

Greco - Ex Tintoria Weiss

via Tofane-Via Jaurès 22

Ripercorrendo viale delle Rimembranze di Greco torniamo in via Tofane lungo l'alzaia del Naviglio Martesana. In uno dei tratti più caratteristici del quartiere di Greco perché si passa sotto le imponenti arcate ferroviarie delle Ferrovie di Stato, e subito dopo, ci costeggia il muro che apparteneva all’ex Tintoria Weiss (1875). Oggi l'intera area ex industriale è interessata dal progetto di rigenerazione urbana Eastriver Martesana che ha come obiettivo la ricucitura tra quartieri periferici e aree di trasformazione urbana attraverso la valorizzazione della mobilità sostenibile e del turismo sociale.

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Nel 2016, grazie al progetto Eastriver, sono iniziati i lavori di riqualificazione degli edifici e dell’area verde con servizi quali bistrot, ciclofficina, noleggio bici e canoe, orti condivisi e mercato agricolo. In questo tratto del naviglio si riconoscono due elementi tipici del paesaggio urbano dei borghi del Naviglio Martesana: l’intricato groviglio di rotaie della Ferrovia e i resti delle vecchie fabbriche del quartiere. 

Le arcate sono state costruite in cemento armato nel periodo fra il 1901 e il 1933, quando le Ferrovie dello Stato iniziarono ad edificare tutta la cintura ferroviaria di Milano. Ma l’incontro di Greco con la ferrovia era già iniziato nell’agosto del 1840, quando furono sistemate le rotaie della Strada Ferrata Milano-Monza, la seconda linea sterrata in tutta Italia progettata dall’ingegnere Giulio Sarti. A passare sotto le arcate si ha la quasi sensazione di entrare in una cattedrale moderna: sono il simbolo di un antico borgo che si trasforma in metropoli.

Insieme alle arcate ferroviarie il lungo muro dell’ex fabbrica Società anonima Tintoria Weiss occupava tutta l’area tra le vie Jaurès, Tofane, Rovigno. Lorenzo Weiss, di origini altoatesine, decise di impiantare in quest’area un opificio per la tintura del cotone, tra i primi in città, in particolare dei filati di cotone di colore rosso. Un altro simbolo, la fabbrica, della laboriosità degli operai e degli industriali di Greco di una metropoli in fermento. E’ probabile che la cappella funeraria in mattoni rossi Weiss-Molteni al Cimitero di Greco contenga i resti della famiglia Weiss e dello stesso Lorenzo, la cui storia di famiglia è legata a Greco.

 

Angoli e case fiorite

Gorla - Cantun Frecc

Via Tofane-ingresso in via P. Finzi 25

La strada di via Tofane porta al quartiere di Gorla, un antico e popoloso borgo soprannominato la Piccola Parigi, che attirava i milanesi affascinati dagli scorci suggestivi lungo il Naviglio Martesana e dall'aria un po' bohémien. In questo angolo di affacci e di case fiorite sul canale, quasi non sembra di essere in città, ma si ha la sensazione di entrare in un piccolo borgo sospeso nel tempo. Uno degli edifici più caratteristici che s'incontra passeggiando per via Tofane è il Cantun Frecc ("cantone freddo" in dialetto milanese), riconoscibile grazie alla facciata in mattoni rossi e alle quattro finestre ad arco a tutto sesto.

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Il Cantun Frecc, inizialmente azienda rurale, poi casa di villeggiatura e infine cardatura di cascami di seta, oggi fa parte di un complesso di abitazioni basse di cortile. Una curiosità: pare che il sole battesse poco su questo lato del naviglio, e per questo motivo, probabilmente, il “cantun frecc” è stato usato anche come cantina per stagionare i formaggi. Non si esclude che sia stato utilizzato anche dalla storica gastronomia milanese PECK, fondata nel 1883 a Milano da Francesco Peck, salumiere boemo di Praga.

Particolarmente suggestivo, e sempre pieno di verde e di fiori, è il ballatoio a pelo d’acqua della casa a sinistra del Cantun Frecc, inconfondibile. Di fronte si trovano le altre case economiche di via Tofane. La tipologia abitativa, che richiama quella delle cascine rurali, le rende riconoscibili: un grande portone d’ingresso era l’accesso su un cortile interno dove solitamente, al piano terra, c’erano i laboratori artigianali e, ai piani superiori lungo i ballatoi, le abitazioni. Erano case di fabbricanti di scope, fiaccherai, cocchieri, di gente di mestiere e poi di fabbrica. 

In una di queste case ristrutturate oggi c’è la trattoria greca Mykonos (via Tofane 5), che s’affaccia sulle acque del Martesana; non sono, certo, le acque dell’Egeo, ma la possibilità di ritagliarsi una pausa dal caos metropolitano, in questo angolo di Milano, è garantita.

Non andate via da via Tofane senza curiosare nella bottega di Ketty Agnesani (via Tofane 3/b), che dal 2007 realizza ancora a mano lettere, pergamene, segnalibri, inviti con pennini calligrafici e inchiostri indelebili.

 

Parco dei gelsi da carta

Gorla - Villa Finzi-Batthyany

Via Sant'Erlembaldo

Chi ha voglia di una pausa, magari con picnic all'ombra di alberi secolari, non può mancare il delizioso Parco di Villa Finzi: 53 essenze arboree in 5 ettari dove scoprire, tra l'altro, l'albero dei tulipani, del caffè, dei cedri del Libano e del gelso da carta (molto raro). Il Parco prende il nome dalla villa al suo interno, che è stata la casa di lady Fanny Finzi Ottolenghi; la sua famiglia l'ereditò dal conte ungherese Batthyany che la costruì come villa di svago e di feste agli inizi dell'ottocento.

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La villa aveva un parco all’inglese che faceva da quinta scenografica a tutto il complesso di cui rimangono solo la Villa, il Tempietto dell’Innocenza e della Notte. Il Tempietto dell’Innocenza è una piccola costruzione neoclassica a pianta circolare che ogni primavera si riempie di una cascata di fiori di glicine; in origine si trovava in una mini isoletta su un laghetto alimentato dal fontanile Acqualunga. Il Tempietto della Notte è, invece, una grotta misteriosa sotterranea usata (probabilmente) come ghiacciaia nell’area del parco dove si vede una piccola collinetta. Chissà che in futuro non torni visitabile.

Nei primi del novecento la nuova padrone di casa, la contessa Fanny Finzi Ottolenghi trasformò la villa insieme al Parco in una casa-giardino per i bambini di Gorla e in un Rifugio per ragazzi che non potevano più lavorare. Sul perché di questa scelta (forse) pesarono su lady Finzi la morte del marito e del suo unico figlio all’età di 10 anni. Nel 1914 il Rifugio è stato trasferito in viale Monza 223 dove si può vedere ancora oggi la struttura di proprietà dell’ASST Gaetano Pini-CTO.

 

Pranzo all’ombra dei ciliegi

Gorla - Casa dei Ciliegi

Via Bertelli 4

Proseguiamo lungo la strada Alzaia Gorla Superiore (oggi via Bertelli), passando sotto il ponte in bugnato di pietra che attraversa viale Monza (1837). In via Bertelli si entra nel vero e proprio borgo di Gorla che una volta era un'area rurale di terreni destinati a coltivazione, rogge irrigue e ville. Una delle caratteristiche di Gorla, almeno fino alla metà del secolo scorso, fu proprio la vicinanza e stretta dipendenza del borgo dal Naviglio Martesana. Ma prima di addentrarci nella parte più antica del quartiere, per chi vuole fermarsi per una pausa, c'è il ristorante Seven Casa dei Ciliegi.

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La Casa dei Ciliegi era, in origine, un convento medievale alle dipendenze del Monastero dei Padri Minimi di S. Francesco da Paola di cui si conservano ancora oggi i muri conventuali. Dal 1786, però, i Padri Minimi decidono di metterla in vendita e la proprietà passa a diversi padroni di casa. Di uno di questi passaggi ne resta una traccia a lato del portone d’ingresso dove troviamo un antico stemma con le lettere “G” e ” P” probabilmente riconducili alle iniziali di Gropallo Pertusati, uno dei proprietari.

Oggi la Casa dei Ciliegi è un locale fuori dal caos della città dove si possono gustare piatti dai menù classici della tradizione lombarda o più sfiziosi a base di formaggi ricercati.

Dopo la pausa si può riprendere la passeggiata in uno dei più bei tratti paesaggistici del Naviglio Martesana che trasportava materie prime e prodotti tra il fiume Adda (dalla Valtellina e Valsassina) e la città di Milano. Il Martesana, costruito nel 1457-1463, si ricongiungeva alla Fossa interna dei Navigli Milanesi presso la Conca dell’Incoronata in via San Marco realizzata su progetto di Leonardo da Vinci (1496).

 

Profumo di tiglio

Gorla - Villa Arosio-Singer

Fratelli Pozzi 4

Gorla era la meta scelta dai milanesi per le gite domenicali quando nei caldi mesi estivi si partiva per cercare nel borgo l'aria fresca del Naviglio Martesana, ma anche per gli orti, i giardini profumati, i panorami suggestivi e le ville che s'incontravano lungo il naviglio come Villa Finzi, Villa Arosio-Singer, Villa Duprais-Angelica. Oggi di alcune sono rimaste solo delle tracce, mentre altre sono ancora visibili. Dalla sponda del naviglio si riescono a vedere i giardini di delizia delle vicine Villa Singer (con ingresso in via Pozzi n.4) e Villa Arosio (Piazza Piccoli Martiri di Gorla n.2), oggi Villa Arosio-Singer.

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Villa Singer ha un ampio giardino ombreggiato da bambù dove, ancora oggi, cresce un albero monumentale di tiglio. I bambini di Gorla, oggi adulti, ricordano l’odore della fioritura del tiglio nelle sere di maggio quando, dopo il rosario, si ritrovavano in via Pozzi per gli ultimi giochi della giornata. Perché, a quell’epoca, giocare in strada era naturale; le abitazioni erano troppo piccole per le famiglie numerose, non ci si poteva muovere in tanti e le stradine, le piazze, i muretti, le sponde del naviglio diventavano dei punti di riferimento per la comunità. Chi era più fortunato aveva una propria casa; altri, invece, non ce l’avevano affatto per cui la strada diventava uno dei luoghi più significativi per socializzare, anche per sentirsi meno soli.

Villa Singer porta il nome dell’industriale austriaco Carlo Singer che la fece costruire nel 1906 come sede dei suoi laboratori per la distillazione di profumi. Lungo il naviglio viaggiavano i barconi pieni di radici e di piante provenienti dalla campagna, che servivano a Singer per la lavorazione delle essenze e dei profumi. Nella cancellata di ingresso alla villa si vedono ancora le iniziali intrecciate, “C” e “S”, del nome del primo proprietario e i motivi decorativi arborei in pietra. I barconi attraccavano proprio vicino al ponte vecchio di Gorla.

Il Ponte Vecchio di Gorla è oggi uno dei simboli del borgo, ed è lo stesso che è stato costruito nel 1703 nel ceppo della pietra dell’Adda. Dal vecchio ponte di Gorla passiamo in Piazza dei Piccoli Martiri di Gorla (una volta “Piazza Commune”), il nucleo storico del borgo dove c’è l’ex Municipio di Gorla accanto a casa Singer. Il Municipio di Gorla è stato operativo fino al 1923, quando Gorla fu inglobata nel Comune di Milano.

Nel 1937 tutto il complesso di Villa Singer e dell’ex Municipio (oggi Villa Arosio), Villa Arosio-Singer, fu acquistato da Arturo Monti, che ne fece la sua residenza e uno studiolo d’arte per la figlia pittrice, che era allieva del pittore Attilio Andreoli. Qui passarono diversi amici pittori famosi della famiglia come Palanti, Tallone, Alciati. Tra le stanze delle case si conservano ancora oggi i mobili di Gianotti, i piatti di Gio Ponti, i tessuti Fornasetti e le ceramiche di Fausto Melotti. Nel 1992 il nipote di Arturo Monti, Marco Arosio, antiquario e consulente della casa d’aste Porro, ha fatto restaurare la villa che oggi è anche una location da affittare per eventi.

 

Memorie di guerra

Monumento Piccoli Martiri di Gorla

Piazza Piccoli Martiri di Gorla

La Piazza dei Piccoli Martiri di Gorla è tristemente nota per la strage in cui il 20 ottobre 1944 persero la vita 200 bambini e 19 adulti, colpiti da una bomba sganciata alle 11.29 dai bombardieri americani alleati, mentre scendevano le scale della scuola elementare F. Crispi per cercare di raggiungere i rifugi aerei. Fu un evento ancora più drammatico perché, a causa di una catena di errori, prima di rientrare alla base il comando 15° Air Force-Stati Uniti d'America si liberò dell'esplosivo a bordo sopra i civili. Il 20 ottobre di ogni anno le autorità, le associazioni (in particolare l'Associazione Gorla Domani) e la cittadinanza partecipano numerosi alla commemorazione della strage di Gorla per mantenerne viva la memoria.

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Appena finito il bombardamento, i cittadini che erano più vicini alla scuola, si accorsero subito della tragedia e diedero l’allarme. Di quella mattina rimangono le testimonianze dei bambini sopravvissuti: “Alcuni bambini più svelti di altri decisero di fuggire dalla scuola per raggiungere casa…Per tutti gli altri il destino fu diverso” (dalle testimonianze di Metti Erminio, Melzi Ambrogio, Maria Luisa Rumi, Rosalina Galbiati).

A ricordo di quell’accaduto il Comitato dei genitori dei bambini deceduti volle a tutti i costi far costruire un monumento nella Piazza in ricordo della strage. I genitori, dopo le forti insistenze sul Comune di Milano, ottennero dal Sindaco Antonio Greppi la concessione di un terreno, già destinato alla costruzione di un cinema, dove erigere il Monumento-Ossario per i propri figli. Oggi il monumento, realizzato dallo scultore Remo Brioschi (1952) e fuso in bronzo dalla Fonderia dei Fratelli Barigozzi, è uno dei simboli più significativi di Gorla.

C’è ancora silenzio dentro di me ogni volta che guardo quel monumento” (testimonianza di Rosalina Galbiati). Brioschi è riuscito ad imprimere nella durezza del bronzo tutta la drammaticità di ciò che accadde realmente: una mamma dolente e silenziosa tiene fra le braccia il corpo del proprio bambino, non lo stringe a sé, ma lo espone alla comunità e al cielo da cui è stata sganciata la bomba. Dietro alla statua ci sono due colonne: su una si vede un aereo che avanza; mentre, sull’altra, lo stesso aereo s’allontana dopo aver sganciato il suo carico di morte. Nella Cripta sotterranea del monumento sono stati trasferiti alle pareti i resti ossei dei bambini e delle loro maestre.

Ville delle fiabe

Gorla - Villa Duprais-Angelica

Via Luigi Bertelli

Lasciamo il Monumento dei Piccoli Martiri di Gorla, ripassiamo sul ponte vecchio e riprendiamo la strada dell'alzaia del Naviglio Martesana. Sulla sinistra s'intravede un'ampia area verde dove sono state costruite prima Villa Duprais (Dupré) e poi Villa Angelica, la "Villa delle fiabe" per le sue fantasiose forme architettoniche che facevano sognare gli abitanti del borgo. Purtroppo bisogna usare un po' di fantasia per vedere Villa Angelica perché è stata semidistrutta dai bombardamenti della 2° guerra mondiale, poi smantellata nel 1968.

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Ripercorriamo, per un attimo, la storia di Villa Duprais-Angelica. Villa Duprais è stata costruita lungo il naviglio dal Marchese Castiglioni, membro del Senato milanese, nella prima metà del seicento. Il Parco, all’interno di Villa Duprais, occupava circa 94.000 mq di terra fertile da arare con filari di uva e 23 gelsi. Sempre in quest’area, è stata poi costruita, nel 1884, una seconda villa, Villa Angelica, chiamata così perché la proprietaria era Vidonne Angelica (maritata Duprais). Oggi di Villa Angelica-Duprais rimane, purtroppo, solo una torretta ottagonale in mattoni, un tempo affrescata con figure di danzatrici, che faceva parte del Parco di Villa Duprais. La torretta di Villa Angelica, come è oggi conosciuta tra gli abitanti del quartiere, la s’incontra sulla sponda di sinistra del naviglio, in prossimità della Cascina Martesana.

Villa Angelica è rimasta, però, nell’immaginario degli abitanti di Gorla perché ha ispirato per anni la loro fantasia. Dalle fotografie storiche, che hanno immortalato la villa, s’intuisce subito il perché avesse fatto sognare il borgo. Per le sue forme architettoniche in stile eclettico, le decorazioni in pietra, il tetto spiovente a pagoda, i curiosi pinnacoli sul culmine del tetto; ma, soprattutto, per la torretta a loggia colonnata sormontata da un terrazzino in struttura metallica. “Non c’è più Villa Angelica ma ne ho impressa nella memoria l’immagine che associo a quella del castello stile Walt Disney. Probabilmente a me bambina quella costruzione (…) con i tetti spioventi, l’alto parafulmine e l’elegante torretta dava l’idea del magico castello della Bella Addormentata e la torretta, inaccessibile, mi avrà fatto pensare al luogo dove la principessa dormiva il suo sonno incantato” (testimonianza di Rosalina Galbiati).

 

Profumo di cioccolato

Gorla - Cascina Quadri

Via L. Bertelli-ingresso via Nuoro 2-18

Proseguendo verso Cascina Martesana, lasciata la torretta di Walt Disney, sempre dall'altro lato del Naviglio Martesana, si vede un grosso edificio che gli abitanti di Gorla ricordano per il profumo della cioccolata che si sentiva nell'aria. L'odore, che solleticava il borgo, proveniva dall'ex Fabbrica di Cioccolato Lombardi e Macchi con casa annessa di Cascina Quadri, che si riconosce ancora oggi per le tipiche forme del cascinale. Se lungo la passeggiata doveste avere qualche problema con la bici, nel cortile c'è Cascina Quadri in bici una ciclofficina per ogni tipo di servizio.

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La vecchia cascina è stata usata prima come torrefazione e Caffè fino a quando il Sig. Giacomo Macchi decise di trasferirvi un reparto della sua fabbrica di cioccolato (1864). Una fabbrica profumata nel borgo di Gorla di cui molti ricordano “la gran ruota (motrice) che dava vita ad uno stabilimento dal quale emanava quel grato profumo di cioccolata” che richiamava “numerose coppie che dal viale di Monza svoltavano lungo la strada alzaia per confidarsi più i palpiti dei loro cuori. Quando arrivavano a quella ruota allentavano le mani intrecciate e sospendevano le ardenti dichiarazioni per deliziarsi di quel profumo“.

Le fave di cacao erano tostate e poi lavorate nelle conche, grossi recipienti rotondi e poco profondi che servivano a dividere il burro dalla polvere di cacao a cui si aggiungeva poi lo zucchero e altri ingredienti.

Lo stabilimento è stato trasferito in via Palestrina n. 18 nel 1902; ma nel 1917 le limitazioni imposte durante la Grande Guerra, che vietava la vendita di dolciumi, ridussero il lavoro. Quando il Commissario generale degli approvvigionamenti e consumi alimentari ripristinò nel 1921 la libera fabbricazione dei dolci, gli stabilimenti ripresero la produzione fino al 1923.

 

Bagni sul naviglio

Gorla - Cascina Martesana

Via Luigi Bertelli 44

D'estate l'attrazione di Gorla, soprattutto per i bambini, era il Naviglio Martesana, che molti chiamavano la "spiaggetta" e per questo era investito dai più giovani del borgo di una funzione importante: il mare, per loro, era il Martesana! Proprio nei pressi della torretta di Villa Angelica e Cascina Quadri, dove c'è oggi Cascina Martesana, c'era una piscina all'aperto che tutti chiamavano "El Bagnin de Gorla". Oggi è difficile immaginarsela, ma il nome è rimasto nella galleria espositiva, accessibile a tutti, a Cascina Martesana.

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Il Cavo Taverna prendeva l’acqua dal Martesana e la scaricava nella Roggia Taverna (oggi coperta), uno degli ultimi cavi irrigui a cielo aperto pieno d’acqua chiamato dagli abitanti “El Bagnin de Gorla”. I bambini più piccoli passavano le loro intere estati imparando a nuotare per la prima volta, prima di fare il grande salto dal ponte vecchio di Gorla nel grande fiume (il naviglio) dove l’acqua era alta appena 1,5 metri.

La Cascina, recuperata nel 2014, è diventata un centro culturale e sociale di riferimento per tutto il quartiere all’interno del Parco Martesana (1978), oggi Parco dei Martiri della Libertà Iracheni Vittime del Terrorismo. I soci possono accedere al Chiostro Bar, al Salotto con Griglia, al Giardino Nascosto e alla Roggia Incantata.

Un parco vicino al Naviglio Piccolo dove, tra maggio e giugno, sbocciano i tigli selvatici dai fiori profumati. Ah, ovviamente il logo-simbolo di Cascina è la nutria, perché sono gli animali che oggi più schiamazzano dentro al naviglio.

Ville e coriandoli

Crescenzago - Villa Lecchi

Via Privata Antonio Meucci 1-3

Costeggiando il Naviglio Martesana lungo via Baccarini, arriviamo al ponte di piazza Costantino a Crescenzago. Il borgo di Crescenzago era una meta di gite fuori porta per i milanesi alla ricerca, nei mesti estivi, di un po' d'aria fresca lungo il naviglio, delle buone osterie e della bella vista sulle numerose ville di delizia che s'affacciano tutt'oggi sul naviglio. Per questo l'alzaia del naviglio, in questo tratto di Crescenzago, era conosciuta come la Riviera. La prima villa che s'incontra è Villa Lecchi, oggi sede dell'Associazione Culturale Villa Pallavicini dove ci può fermare per una pausa nel piacevole giardino sul naviglio.

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Nel 1875 Villa Lecchi, di impianto ancora oggi settecentesco, diventa la sede di una stamperia di stoffe di proprietà dell’industriale Enrico Mangili, che sfruttò la forza idraulica del naviglio per azionare i macchinari a vapore all’interno della fabbrica. I segni della ruota idraulica sono ancora oggi visibili nella traccia ad arco in muratura sul lato della villa a pelo d’acqua. Ma ciò che ha reso famoso più di tutto Mangili è stata l’invenzione dei coriandoli del Carnevale.

Per tradizione, si usava lanciare sui carri meneghini del Carnevale, i semi di coriandolo ricoperti di zucchero (confetti di coriandolo) perché, a quei tempi, il coriandolo era una pianta molto diffusa a Milano. Fino a quando Mangili ebbe l’idea geniale di sostituire i confetti con i dischetti della carta da scarto che venivano bucati e usati come lettiera per i bachi seta in fabbrica.

I coriandoli di Mangili sostituirono così i confetti e il loro successo fu subito enorme. E Crescenzago, grazie a Mangili, contribuì a cambiare (e colorare) la storia del Carnevale.

 

Fabbriche golose

Crescenzago - Cargo ex fabbrica Ovomaltina

Via privata Antonio Meucci 43

Una volta raggiunta Piazza Costantino a Crescenzago, per chi ha voglia, facciamo una brevissima deviazione dall'alzaia del Naviglio Martesana. Negli edifici e nell'area dell'emporio Cargo High-Tech dove è possibile fermarsi per bere un caffè pranzare o fare merenda, c'era una volta la Fabbrica di cioccolato dell'Ovomaltina, non proprio una fabbrica qualunque. La ciminiera dell'ex fabbrica la si adocchia già nel tratto dell'alzaia del naviglio lungo via Baccarini.

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La storia della produzione di cioccolata, che avevamo lasciato a Gorla, continua a Crescenzago. Nel 1924 il dottor svizzero di Berna, Albert Wander, impiantò tra via Meucci e via De Notaris, vicino al naviglio, la fabbrica dell’Ovomaltina. Una bevanda a base di estratto di malto d’orzo, latte scremato, cacao e lievito, in commercio dal 1904. Fino agli anni ‘70 le uova fresche della bevanda venivano acquistate dal signor Lovati, un produttore di Pantigliate.

Nel 1942 alla Wander lavorò anche Primo Levi, laureato in chimica e impiegato come ricercatore di ingredienti utili a curare il diabete. Nel 1943 anche la Wander, come altre fabbriche di Crescenzago, subì dei danni durante i bombardamenti e chiuse nella seconda metà degli anni ’80. Solo nel 2001, dopo anni di abbandono, gli spazi dell’ex Wander sono stati occupati dal negozio di arredi e di design Cargo High-Tech.

 

Vicoli silenziosi

Crescenzago - Chiesa Rossa e Casa Berra

Via Domenico Berra 11-10

Lasciamo ancora per un attimo l'alzaia del Naviglio Martesana e camminiamo per via Domenico Berra. La sensazione è di lasciarsi alle spalle il caos città e di entrare in un piccolo borgo racchiuso su se stesso. Qui c'era l'antico borgo di Crescenzago con la Chiesa Rossa (via Berra 11) e l'ex convento oggi Casa Berra (via Berra 10) sede dell'Associazione Culturale Casa Berra.

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La chiesa è conosciuta come la Rossa perché è stata costruita, nel 1140, con i mattoni rossi nel classico stile romanico lombardo. Ha un facciata a capanna tipica delle abbazie, così come lo è anche il laterizio della costruzione, un materiale diffuso in tutto il territorio argilloso della Pianura Padana. La Madonna Rossa di Crescenzago insieme alla Madonna Nera (di Loreto) e la Madonna Bianca (di Casoretto) erano le chiese scelte come mete di pellegrinaggio dai milanesi. Curiosa la facciata della chiesa: durante il restauro del 1922 sono state inserite alcune ciotole di ceramica colorate che alcuni riconducono alle scodelle dei pellegrini.

Sotto il pavimento della chiesa sono stati scoperte delle cavità sepolcrali che, forse, risalgono ai tempi dei Visconti. Qui nel 1322 è morto Matteo Visconti condannato di eresia e, per questo, pare sia stato sepolto in un luogo segreto sotto la chiesa. All’interno della Chiesa Rossa si possono vedere nell’abside maggiore gli affreschi trecenteschi con la Maiestas Domini e altri resti dall’iconografia non ancora decifrata. Insieme a una copia del Trittico di Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone (1453-1523) con Sante e donatori, datato 1510-1520 (l’originale è stato trasferito al Museo Diocesano di Milano).

Prima di lasciare questo angolo sospeso del borgo ci s’imbatte per forza in Casa Berra. La fisionomia delle forme richiama quelle originarie di un monastero (Ordine di Sant’Agostino) con una struttura raccolta attorno a due cortili interni porticati (il piccolo e il grande) che s’intravedono dall’ingresso principale. Una lapide commemorativa, su una parete di Casa Berra, riporta il ritratto di profilo dell’agronomo Domenico Berra (1771-1835), l’epigrafe con il nome, e una serie di oggetti emblematici simboli del suo ingegno e della sua attività nel campo dell’agricoltura (ramo di vite, fascio di spighe, falce, zappa), della giurisprudenza (libro con il pennino, bilancia, spada) e dell’ingegneria (paratoia e cremagliera per l’apertura e la chiusura dell’acqua nei canali).

Glicini del naviglio

Crescenzago - Villa De Ponti

Via San Mamete 42

La Riviera di Crescenzago, come era chiamata dai giornalisti dell'epoca, è una carrellata scenografica di ville di proprietà privata che s'affacciano sul Naviglio Martesana. Anche se ci piacerebbe curiosare tra gli interni delle sue ville, dovremo accontentarci della vista sul paesaggio metropolitano che, in questo tratto del naviglio, è molto suggestiva. Villa De Ponti è una tra le più interessanti, sopratutto in primavera quando il glicine del suo giardino a pelo d'acqua sul naviglio offre ai passanti un'immagine metropolitana colorata di lilla.

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Nel 1855 l’imprenditore Luigi De Ponti acquista la villa e, nel 1857, impianta sul lato ovest della villa, un filanda ancora oggi visibile. La filanda usava una ruota idraulica collocata lungo il naviglio, oggi rimossa, per prevalere l’acqua, portarla poi alla caldaia della fabbrica e produrre il vapore necessario alle bacinelle di filatura.

La famiglia De Ponti decise prima di affittare e poi di vendere la filanda, ma Giuseppina De Ponti la riacquistò nel 1933. Forse perché troppo affezionata alla casa dove era nata nel 1881; oggi è ricordata per essere stata la prima donna che prese la patente nella provincia di Milano (1909).

Un elemento in comune di tutte le ville della Riviera era la stretta relazione fra la villa, il giardino e il naviglio navigabile. Ogni villa aveva, infatti, il suo accesso privato al naviglio e dal naviglio traeva l’acqua necessaria per irrigare il proprio giardino. Un’unica alzaia parallela al canale serviva tutte le ville in sequenza una dopo l’altra: Villa Albrighi (riconoscibile in stile eclettico neogotico, via Amalfi 23); Villa Petrovic (inconfondibile per la torretta neogotica in cotto, via Amalfi 27); Villa De Ponti (dall’aspetto velatamente barocco); Villa Pino (riconoscibile per la linea curva della facciata neoclassica, prima della svolta in via Idro).

Parchi e giardini

Monumenti, chiese e cimiteri

Architettura

Bar, trattorie, ristori